venerdì 28 settembre 2007

I Trappisti e le Birre - Parte 2

© Alberto Laschi - Precedente<<

4. L’Ordine Cistercense

L'Ordine Cisterciense (in latino Ordo Cisterciensis) nacque nel 1098 a Citeaux (Borgogna, Francia), assumendo la caratteristica di movimento volto a rivivere in maniera rigorosa la Regola, in risposta al rilassamento del rigore morale e religioso manifestatosi all’interno dell'Ordine Cluniacense . Furono ventuno monaci fuoriusciti dall’abbazia cluniacense di Molesme, guidati da San Roberto di Molesme, a fondare nel giorno di Pentecoste dell’anno 1098 un nuovo monastero a 20 km. da Digione, chiamato all’inizio solo “Nuovo Monastero”. Più tardi (nel 1100) il monastero prese il nome di Citeaux (in latino Cistercium, da qui il nome dell’Ordine) dalla località in cui si veniva a trovare. Il primo statuto dell’ordine ( la “Charta caritatis” del 1114 ) si deve a santo Stefano Harding, con il richiamo non solo formale alla puritas della Regola. All’inizio l’’impostazione di severa austerità con la quale si caratterizzava la vita della nuova congregazione non favorì l’incremento delle comunità, tanto che si arrivò a temerne l’estinzione. Fu l’apparire sulla scena di Bernardo di Fontaines (meglio conosciuto poi come san Bernardo di Chiaravalle) a risollevare le sorti della comunità: dopo il suo ingresso a Citeaux fu inviato nel 1115 a fondare un nuovo monastero a Clairvaux (Chiaravalle) che, insieme alla casa madre di Citeaux e a quelli di La Fertè , di Pontigny e di Morimond , fondati nel biennio 1113-1115, costituirono le cosiddette abbazie madri da ciascuna delle quali derivarono altre fondazioni in Francia, Spagna, Italia, Germania, Inghilterra. L’espansione dell’Ordine fu talmente rapida e vasta che alla fine del XII secolo le abbazie cistercensi erano più di 500 e alla fine del XIII secolo circa 700.
I Cistercensi vivevano, e vivono tuttora, in abbazie unite dal legame della sussidiarietà, per il quale ogni abbazia, in caso di bisogno, viene assistita dalle altre. L’Ordine sceglieva il luogo dove fondare le nuove comunità secondo criteri semplici ed essenziali: doveva trattarsi di luoghi solitari, lontani dai centri abitati i e preferibilmente incolti, ma, e questa era una regola “tassativa”, ricchi di acqua, che sarebbe poi servita per l’esigenze di tutta la comunità. I cistercensi riuscirono in molte zone a bonificare e disboscare terreni paludosi o boscosi per la coltivazione, che furono amministrate tramite strutture agricole indipendenti, curate dai conversi, che assunsero il nome di grange, all’interno delle quali scomparve totalmente (per la prima volta nell’Europa cristiana i quel periodo) l’istituzione allora ben salda della servitù della gleba. I monaci stessi lavoravano nei campi quattro ore al giorno, coltivavano vigneti e frutteti, allevavano il bestiame e il pesce. Il resto della giornata era dedicato alla preghiera, in uno stile di vita improntato alla semplicità ed essenzialità estrema. In osservanza della regola si alzavano all'una del mattino per cantare l'uffizio, poi si dedicavano al lavoro dentro e fuori del monastero; i monaci si vestivano solo di bianco (per devozione alla Vergine e per opposizione ai benedettini di Cluny di cui criticavano violentemente il lusso), le loro chiese non avevano originariamente né campanili, né pitture, sculture, pavimenti o vetrate colorate che potessero distrarre l'attenzione dei monaci e nessuno era ammesso agli uffici divini, riservati solo ai monaci. L’Ordine raggiunse il massimo dello splendore nei secoli XII e XIII, dopodiché anche all’interno dei Cistercensi cominciarono a delinearsi modalità di veduta diverse sul come incarnare i principi della Regola. Il travaglio interno ebbe il suo punto critico nel 1664, quando l'abate del monastero di Nostra Signora de la Trappe a Soligny in Normandia, Armand Jean le Bouthillier de Rancè, fece nel suo monastero un'opera di rinnovamento in profondità, esigendo che i suoi monaci privilegiassero la vita ascetica, osservassero rigorosamente il silenzio e si dedicassero più duramente al lavoro manuale. Da questa nuova riforma della Regola autorizzata nel 1666 da papa Alessandro VII nacque una nuova famiglia religiosa, quella dei Trappisti, o, per meglio dire, L'Ordine dei Cisterciensi della Stretta Osservanza (in latino Ordo Cisterciensis Strictioris Observantiae, O.C.S.O.). In questi monasteri trappisti i monaci dormono, di norma, sei ore, coricandosi alle 20 ed alzandosi alle 2 del mattino per il mattuttino: dopo aver lavorato per sei ore nei campi, pregano e studiano per altre dodici ore; non possono leggere o inviare corrispondenza; sono tenuti all'assoluto silenzio e solo l’abate, il priore e l’economo possono parlare, ma solo in casi eccezionali e tenendo il volto basso e seminascosto dal cappuccio; si cibano essenzialmente di pane, verdura, frutta e legumi, non mangiano né carne né pesce. Vengono sepolti senza cassa, calando il cappuccio sul viso. Alla fine del 2005, l'ordine contava 97 case e 2.266 monaci. In Italia il loro monastero più noto è quello delle Tre Fontane, che sorge a Roma nel luogo dove la tradizione dice che sia stato martirizzato San Paolo, dove la regola è osservata in modo rigoroso.

   
Immagini da www.trappistbeer.net


5. La produzione birraria dei monaci: VII-VIII secolo, e l’abbazia di San Gallo.

Fino al Medioevo, il processo di birrificazione era appannaggio quasi esclusivo delle sole donne. Lentamente, quando la birra cominciò ad essere prodotta dai monaci nei loro monasteri, questa quasi esclusività femminile si andò perdendo (anche se erano sempre le donne a produrre la birra fatta in casa per il solo consumo domestico), ma “rimase” (per modo di dire) il legame originario far birra e religione, visto che le prime donne babilonesi che producevano birra erano sacerdotesse del tempio.
Partendo dal presupposto che, per quanto detto in precedenza, la produzione di beni che potessero garantire il sostentamento delle comunità monastiche era un obbligo esplicitamente derivato dalla corretta applicazione della Regola monastica, è abbastanza facile comprendere anche i motivi per i quali l’assolvimento di tale obbligo in alcune zone dell’Europa fece sì che alcune comunità monastiche si siano dedicate alla produzione della birra.
Innanzitutto i monaci (prima Benedettini, poi soprattutto Cistercensi e Francescani) coltivavano in proprio l'orzo, e quindi, avendo il controllo della qualità della materia prima principale. Inoltre, la mano d'opera era per così dire gratuita, e quindi la birra poteva essere venduta a prezzi popolari e concorrenziali. La birra infatti era già una bevanda molto popolare e diffusa in tutte quelle aree non vinicole, vista la sua igienicità, in un’epoca nella quale sia il latte che l’acqua non erano considerate bevande “sicure”. Per questo in molti monasteri si prese l’abitudine di servire a viandanti e pellegrini birra per dissetarli. Accanto a questa prassi legata al dovere dell’ospitalità, la produzione e il consumo interno del monastero aumentò progressivamente (e migliorò in qualità, gusto e valore nutritivo) anche perché la birra aiutava i monaci a sopportare meglio i periodi di digiuno prescritti dalla Regola, durante i quali era ammessa solo l'ingestione di liquidi: e la birra, tanto più se era robusta e corposa, era il sostentamento ideale. Nacque forse allora l'usanza di chiamare la birra "pane liquido" (tuttora in uso nei Paesi di lingua tedesca).
In poco tempo i monaci progredirono rapidamente nel possesso delle tecniche produttive, arrivando a produrre birra in quantità tale da poter essere venduta anche all’esterno del monastero, dopo aver assicurato alla comunità monastica il quantitativo sufficiente a soddisfarne il fabbisogno giornaliero (che potevo arrivare fino a 5 misure pro-capite, come capitava nel monastero svizzero di San Gallo nel IX secolo, dove già 100 monaci erano adibiti alla produzione della birra).
Le notizie sono abbastanza incerte e di difficile verificabilità (si narra per esempio di una produzione birraria risalente al 600 circa in uno dei monasteri svizzeri visitati da san Colombano), ma si hanno notizie abbastanza sicure che già nel 770, nell’abbazia di Gorze nella valle della Mosella era stata avviata la produzione su scala non più solo conventuale della birra, con un frate nel ruolo di primo “mastro birraio”. Sempre nella regione della Mosa si hanno notizie certe di produzione birarria nell’abbazia della Grand-Axe a partire dall’805. Sempre nell’abbazia benedettina svizzera di san Gallo prima citata per la prima volta viene affinata e applicata la tecnica che permette di dividere la medesima produzione in più mosti. L’abbazia possedeva malterie, un mulino e locali di fabbricazione contenenti ciascuno una grande caldaia di rame riscaldata dal fuoco, un apparato di raffreddamento e un tino per la fermentazione: ogni ambiente poteva essere quindi usato per produrre una diversa qualità di birra. La prima, chiamata “prima melior” era ricavata dal primo mosto estratto, ricco di zucchero e destrine: questa birra forte e complessa era riservata ai monaci e agli ospiti di riguardo. La seconda, chiamata “secunda”, una vera e propria birra da tavola, era ricavata dalla diluizione con acqua e successiva filtrazione del malto utilizzato per la cottura; questa birra ancora abbastanza ricca di zuccheri e destrine veniva utilizzata per un consumo più leggero (e abbondante) dei monaci e degli altri fratelli laici e cooperanti presenti nell’abbazia. La terza birra, detta appunto “tertia” era quella meno pregiata e più povera di sostanza, prodotta con la terza ed ultima diluizione del malto di cottura, e veniva offerta ai visitatori locali, ai pellegrini e ai viaggiatori di passaggio.


2 commenti:

Cyril PAGNIEZ ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Cyril PAGNIEZ ha detto...

pictures taken from my website without authorization...
trappist map is also belonging to me (used by DVT, but is mine !) and also used without permission