martedì 27 novembre 2007

Le birre di Buonconvento



Pubblico le schede di Alberto sulle birre di Buonconvento. 

Buonconvento Triple. 8.5% vol. Birra artigianale prodotta la prima volta il 28 settembre 2006 da Gianni Tacchini (Tnt Buonconvento) e Kris Boelens (Huisbrouwerij Boelens)  presso 
Huisbrouwerij Boelens (Kerkstraat, 7 - Belsele, Belgio) con ingredienti naturali:
acqua, Malto d’orzo tipo Pils (100%), Luppolo (Hallertau e Marika),  lievito, Curaçao.
Fermentata, maturata ed imbottigliata presso Huisbrouwerij Boelens. La Buonconvento Triple è il frutto della "seconda" prova di brassaggio. Nella prima cotta 
non era presente il Curaçao..la birra era più dolce e forse si accostava meglio al "gusto" del pubblico. La scelta di aggiungere il Curaçao è stata fatta per dargli una "personalità" tutta sua.
Ringrazio il palato di Alberto!


Esperimento brassicolo (il primo, anche se riveduto e corretto) di Gianni Tacchini, che dietro l’abile mano del mentore Greg Boelens tira fuori dal cilindro questa interessantissima triple con etichetta celebrativa dell’ameno borgo del senese.
Birra che si fa bere volentieri, e che si inserisce correttamente nel range delle triple belghe, con il suo colore dorato carico e la schiuma fine, soffice e di media persistenza. Ha naso leggermente speziato con una prevalenza delle note secche del lievito e del luppolo sulle note abboccate, e un tocco di agrumato (fuggevole) sul finale. Al gusto la birra si apre con una prima sensazione di calore derivata dalla maltazione ben costruita, per poi virare sul luppolato (potenza del dry hopping) e finire con note accentuate di agrumi. Veramente un bel giro; finale secco, asciutto e ripulente, sufficientemente equilibrato.


Buonconvento Scura. 8.5% vol. Birra artigianale prodotta la prima volta il 4 Ottobre 2007 da Gianni Tacchini (Tnt Buonconvento) e Kris Boelens (Huisbrouwerij Boelens)  presso 
Huisbrouwerij Boelens (Kerkstraat, 7 - Belsele, Belgio) con ingredienti naturali:
Acqua, Malto d'orzo tipo Pils (97%) e Chocolate (3%), luppolo (Styrian Gold), lievito.
Fermentata, maturata ed imbottigliata presso Huisbrouwerij Boelens.
Anche la Scura è il frutto della seconda prova di "brassaggio". E visto com'è venuta la lasciamo 
così"!


Ha la classe di una trappista, il carattere di una birra d’elite, la completezza di una birra fatta e sputata. Boelens e Gianni hanno colto nel segno: una birra, questa nuova scura del 2007, che fa tesoro degli esperimenti precedenti e si presenta come assoluta novità. Ha una bella schiuma, corposa, marroncina e persistente, e un colore proprio scuro, impenetrabile, leggermnete torbato dal lievito sversato. Il naso è particolare: è morbido e caldo, ma con un sorprendente carattere speziato, pizzicante, che incuriosisce e le dà subito l’imprinting. Il corpo è rotondo, completo: il calore dell’alcool, la dolcezza quasi gommosa del malto, una nota di tostato, e un chè di rustico, terragno che la rendono ricca e fantasiosa nel finale. E’ una birra in evoluzione, a causa della rifermentazione in bottiglia: sentita la settimana scorsa in anteprima, a distanza di quattro giorni è già quasi un’altra birra, meno giovane e più caratterizzata. Tempo altri 10 giorni e si mostrerà veramente per quello che è. Intanto chapeau: una signora di classe …


Buonconvento Obscura. 8.5% vol Alla prima prova di brassaggio della Scura (etichettata Obscura) non ero presente. Avevamo scambiato qualche email e qualche telefonata con Kris per decidere cosa volevo, che gusto, che aroma..ecc.. Il risultato non fù male per niente..
ma la voglia di avere una birra più "morbida" e la supervoglia di "farla" materialmente ci ha portato a modificarne la ricetta durante il soggiorno di Kris al Villaggio della Birra. 



Sorella “obscura” della triple, la vera evoluzione della specie. Ottima birra, particolare come tutta la produzione Boelens, dal gusto veramente in evoluzione, con un inizio aromatico ricco di frutta rossa, note rustiche terragne e legnose, con una spezia difffusa. Leggermente amaricante e marcatamente liquoroso il gusto (erba medicinale, liquirizia), ma anche qui ritornano note di frutta secca (noci, nocciola?), e una nota rustica diffusa e molto molto piacevole. Dalla schiuma fine, cremosa e non molto persistente, dal bel colore tonaca di frate leggermente opalescente, resta a lungo impressa nel naso, nel palato e nell’immaginario brassicolo.

La Buonconvento Scura!




Sono passati una cinquantina di giorni da quando Kris mi buttò giù dal letto alle 6 del mattino per fare la "Buen convento scura..", e dopo aggiornamenti telefonici e telematici (The buonconv scura is verry good ,i think you will be happy with it.) è arrivato il pancale, insieme alla Santa Bee 2007 (la birra natalizia di Kris disponibile su www.birrerya.com)

Ci dev'essere qualcosa di strano perchè la birra è ... buonissima..non riesco a capacitarmene! Una
grandissima soddisfazione personale ma senza la pazienza, la disponibilità, la professionalità e
l'estro di Kris (che mette il lievito per la rifermentazione pesandolo con il palmo della mano) non
avremmo mai avuto la Buonconvento Scura. Qui il report di quando l'abbiamo fatta.

Quindi la Scura si affianca alla Buonconvento Triple (la nostra prima birra, prodotta la prima volta il 28 settembre 2006, sempre da Kris Boelens) nel menù del nostro locale (il TNT PUB di Buonconvento) e, spinto da Alberto e da Vanessa , nel Catalogo di Birrerya!



 


Web Album: Orval

Orval

Qualche foto dell'Abbazia di  Orval dal nostro viaggio del maggio 2006. Segnaliamo l'Ange Gardien, il Cafè appena fuori l'ingresso dell'Abbazia. E' possibile mangiare qualche piatto freddo (formaggi ed affettati) e degustare la Petit Orval (od Orval Vert) di 3,5°, in pratica una Orval classica diluita con acqua per diminuirne la gradazione..bevanda riservata ai monaci.

Ange Gardien
Rue d'Orval, 3
B-6823 Villers-devant-Orval
Tel. 0032 (0)61 381886

    

©Foto Vanessa Rusci

Rochefort 10




La “Merveille”. Dagli anni ’50 è uno dei must dell’intera produzione trappista. Colore mogano scuro, leggermente opalescente per il lievito in sospensione, con schiuma color caramello, fine e persistente. Il naso: profumi netti ed intensi di banana, frutta secca, caffè tostato, liquirizia e pepe; dire che è ricca, multiforme, esplosiva non rende completamente l’idea. E’ una vera prelibatezza. 11,2°: la potenza sì, ma in assoluto controllo ed equilibrio. In bocca è calda e strutturata, morbida e avvolgente; moderatamente frizzante si fa gustare con lentezza e metodicità. Le sensazioni del palato: malto, sempre e dovunque, frutta matura, spezie, pepe e cannella, un po’ di cioccolato e liquiriza, lievito, ma non in ordine sparso: ognuno di questi al momento giusto e al posto giusto, senza doppioni né sovrapposizioni. La corsa è delicata, calda di alcool, generosa di sensazioni: ancora la liquirizia, l’amarino del cioccolato, un delicato luppolo finale che la rende armoniosa e armonica. Difficile fare meglio e trovare di meglio. Da servirsi a temperatura rigorosamente di cantina.  Alc. 11,3% Vol.
© Alberto Laschi

Rochefort 8




E’ la birra più prodotta, e anche quella più venduta, dei padri trappisti di Rochefort: rappresenta da sola i 2/3 della produzione globale del monastero. Brassata per la prima volta nel 1954 per un importante cliente di allora, si rivelò talmente “speciale” che entrò da subito nella produzione stabile del birrifcio. Il colore di questa birra è marrone, più intenso di quello della 6° e con meno riflessi aranciati; la spuma è fine e compatta, a bolle molto piccole, persistente. Il naso, all’inizio, ha un che di agrumato, netto, e nel complesso dimostra una forte caratteristica fruttata, spiccata e quasi sciropposa, con una evoluzione maltata, molto caramellata. Nonostante i 9,2°, questa 8 rivela un corpo importante, ma non eccessivamente consistente, con un impatto piacevolmente frizzante. Il sapore iniziale ricorda la liquirizia, con spezie in secondo piano, e una corsa finale morbida e calda. Lascia il palato particolarmente pulito, con una sensazione finale decisamente secca e amara, che avvolge tutto il palato stesso e tocca i lati della parte finale della lingua. La bottiglia degustata ha lasciato sul fondo del bicchiere una notevole quantità di lievito. Superfluo, quasi, sottolineare che si tocca quasi l’eccellenza, con questa trappista.  Alc. 9,2% vol. ©Alberto Laschi

Rochefort 6




Di non facile reperibilità, dal momento che viene prodotta due volte all’anno, rappresentando solo il 5% della produzione totale della fabbrica di birra monastica. E’ anche la più “antica” delle birre di Rochefort, in quanto “deriva” direttamente dalla birra che veniva prodotta già negli anni ’30. Bel colore, limpido e netto: un mix fra ruggine e tonaca di frate, con bei riflessi ramati. La schiuma è molto ricca, compatta e persistente. Il lato “debole” (molto relativamente, s’intende) di questa birra è l’aroma: non ha un grandissimo naso, che comincia peraltro con una (spiazzante, quasi) leggerissima nota acidula, per evolversi poi in tenui sentori di malto inseriti in un sottofondo rustico. Ha una frizzantezza spiccata, che la rende subito intrigante e asciutta: il corpo è rotondo, netto, mai esagerato, saldo. Solo nel finale della corsa questa birra rivela la propria alcolicità, comunque significativa, perfettamente celata all’inizio da una corsa rapida, asciutta, ricca dell’amarognolo della frutta tostata, del malto torrefatto, e di polvere di cacao. Il finale è equilibrato, né troppo svelto né eccessivamente ridondante, lascia perfettamente soddisfatti, con il caldo del miele/alcool che la rende morbida e ricca.  7,5% vol. ©Alberto Laschi

Orval



Malto pale ale chiaro e malto caramello, luppoli aromaticic Hallertau e Styrian Goldings, acqua della fonte Matilda, lievito d’Orval (unico!) ad alta fermentazione, fiori di luppolo freschi per il dry hopping, seconda fermentazione nei tini e terza in bottiglia, 40 unità di amaro. Questa è la carta d’identità di questa birra unica, molto secca ed amara. Colore al confine fra il giallo dorato e l’ambrato scarico, ha spuma cremosa e abbondante, di media persistenza.I profumi: intensi e molto rustici, ricordano le prugne e le susine bianche, la scorza d’arancio, il pepe, luppolo e lievito aspro. In bocca è mediamente frizzante, molto asciutta, fruttata, e alterna le note agrumate a quelle speziate e al luppolo, in una corsa lunga che termina in un finale amaro giocato sui toni del rabarbaro, della china e della liquirizia. Di non facile beva, ha un carattere che si fa amare o odiare, non concedendo vie di mezzo; portata per l’’invecchiamento, raggiunge la perfetta maturazione verso i 2-3 anni dall’imbottigliamento. Come per le birre di Chimay, negli ultimi anni si sono rincorse voci relative a modifiche apportate anche nel processo produttivo della Orval, che appare, in effetti, un po’ diversa rispetto alle produzioni meno recenti.  Alc. 6,2% vol. ©Alberto Laschi

Chimay Doreè




La si può trovare soltanto all’Auberge de Poteaupré, (l’albergo “collegato” ufficialmente all’abbazia e dove dall'estate 2007 viene servita solo alla spina) o sulle tavole dei frati: è questa infatti la birra che quotidianamente consumano, dalla gradazione alcolica meno elevata delle altre birre prodotte.
Birra dal colore dorato carico molto nebbioso, per non dire “torbido”, con schiuma molto fine e poco persistente. Ha un naso caratterizzato (ma un po’ volatile) dalla frutta (pesca, albicocca e un po’ d’uva) e dalle note agrumate (pompelmo?), con il malto che le lega tutte assieme. Pur non avendo un’alta gradazione alcolica, questa birra ha comunque un corpo relativamente consistente, con una frizzantezza media: si hanno sentori quasi del ferro, con frutta astringente e luppolo in evidenza, il malto e il lievito si avvertono solo in un secondo momento. Birra leggera, che si lascia bere volentieri ma non facilmente, come nella migliore delle tradizioni trappiste. Alc. 4.8 % vol
©Alberto Laschi

Chimay Gran Reserve (o Chimay Blu)




Durante il confezionamento viene millesimata, appare cioè sull'etichetta, bene evidente, l'anno in cui è stata prodotta, in modo che l'intenditore possa calcolare i 24 mesi necessari a questa birra per raggiungere il massimo delle sue qualità che è comunque in grado di conservare per altri tre anni.
Ricca e vivace, colore tonaca di frate molto denso; schiuma cremosa e fitta; profumi delicati ma persistenti, con note fresche e fruttate in armonia con quelle dolci del malto. Corpo e struttura impressionanti, mediamente dolce, si possono avvertire note tanniche di noci, fieno, timo, pepe, sandalo e noce moscata. Ricorda vini liquorosi iberici. Fruttata aromatica, uno Zinfandel, per non dire un Porto (le note di Porto sono merito di una maturazione superiore ai 5 anni) tra le birre. Da bere con zuppa di farro, roquefort, ma anche da sola dopo 2 o 3 anni invecchiamento, che la fanno migliorare. Alc. 9% vol ©Alberto Laschi


Chimay Premiere (o tappo Rosso)



Di un bel colore rosso mogano, schiuma compatta, croccante e mediamente persistente. Il naso è ricco di profumi intensi e durevoli: si percepiscono frutti di bosco, spezie, malto torrefatto e un caramello tenute ma diffuso. Di frizzantezza accentuata, ha corpo rotondo, snello ma per nulla sfuggente Al palato è dolce di malto, elegante e morbida; il finale è lungo, con note amare del luppolo ben bilanciate. Sembra avere anche un tocco finale di ribes, o comunque di frutta rossa. Provarla con mozzarella di bufala DOP.
Alc. 7% vol ©Alberto Laschi

Chimay Triple ( o Tappo bianco o Cinq Cents)




Birra nata intorno agli anni ’60, per arricchire la gamma di birre scure e dolci con un prodotto più secco.
Sembra quasi una ale inglese. Il giallo carico è quasi ambra, schiuma fitta e persistente, profumi fini ed intensi, sembra di mettere il naso in un panettone: lieviti, uva passa, canditi, insieme a note vegetali di frutta esotica. In bocca è morbida e dolce (miele di castagno), ma nel lungo e armonico finale emerge amaricante del luppolo e del ginepro. E’ di corpo solido e secco, magro per una simile gravità, ed è ricca di luppolo nel finale, con un tocco dissetante di acidità. Questa birra è l’orgoglio dei frati, anche se non ha il carattere più tipico delle Chimay. Da abbinare a vellutata di gamberi, carni bianche e pesce . Alc. 8% vol
© Alberto Laschi


I trappisti e le birre - Abbaye Notre-Dame D’Orval


All’interno del vasto territorio delle Ardenne si trova l’Abbazia di Notre-Dame d’Orval, in territorio belga, ma molto vicino al confine francese, ed equidistante (10 km) da Florenville (Belgio) e Montmédy (Francia).


Storia dell’Abbazia

Non si hanno notizie storiche riferentesi a insediamenti umani precedenti alla venuta dei monaci in questa zona, ad esclusione di alcune tombe merovinge scoperte in seguito. La prima data certa, narrata dagli annali della diocesi tedesca di Trier è il 1070: in quell’anno alcuni monaci Benedettini Calabresi, provati dai continui conflitti che insanguinavano le loro terre, lasciano il loro convento e decidono di allontanarsi dall’Italia per ridare nuova vita, in altri luoghi, alla propria vocazione monastica. Arrivati in Germania, l’Arcivescovo di Trier consiglia loro di cercare la loro nuova collocazione nelle Ardenne, territorio allora all’interno della sua diocesi. Il Conte Arnoldo II di Chiny, signore del feudo di cui faceva parte Orval, li accoglie, offrendo loro appezzamenti di terra di sua proprietà. I monaci iniziano immediatamente la costruzione della Chiesa e del Convento, potendo contare in questa fase sui proventi derivanti dallo sfruttamento delle miniere di sale presenti nei loro terreni.
A questo punto si “inserisce” nella storia/leggenda di Orval la figura di Matilde di Canossa, personaggio di grande rilevanza storica e protagonista di una vita dai risvolti quasi fiabeschi. Imparentata con le più grandi famiglie dell’Europa feudale dell’anno Mille, giocò un ruolo di primo piano nello scacchiere politico dell’epoca. Donna dalla forte personalità e grande sostenitrice del Papa, ottenne risultati politici quasi impensabili per l’epoca, considerando il fatto che, in tale periodo, l’esercizio del potere era appannaggio quasi esclusivo del sesso forte. Le sue frequenti azioni di beneficienza originarono aneddoti leggendari sulla sua vita, uno dei quali riguarderebbe proprio Orval.

     
Immagini da Italia Medievale(sx) e da Itg Secchi(dx)
Nel visitare i lavori della costruendo abbazia a Matilde capita che (narra la storia/leggenda), immergendo le mani in una sorgente all’interno delle mura del monastero (l’attuale fontana Matilde) l’anello nuziale, cui attribuiva un grande valore sentimentale, le scivola dalle dita e si perde fra le acque della fonte. Provata da questo fatto, Matilde implora subito la Vergine Maria di farglielo ritrovare, ed in men che non si dica, una trota emerge dalla fonte portando in bocca l’anello tanto desiderato. Stupefatta dell’accaduto la contessa esclama subito (sono sempre le cronache/leggende che lo narrano): "Questo luogo è veramente la valle dell’oro!", “Aurea vallis”, in francese "val d’Or", che col tempo è poi diventata Orval. Di questo episodio c’è la traccia più evidente possibile nel logo della birreria, registrato dal 1934, che raffigura appunto una trota con l’anello in bocca.


Ritornando alla storia certa, i monaci calabresi protagonisti della fondazione scompaiono improvvisamente da Orval nel 1108, per motivi che i documenti storici rimasti non chiariscono. Sta di fatto che Ottone, figlio di Arnoldo, nello stesso anno invia ad Orval una piccola comunità di religiosi canonici provenienti da Trier, che completano in pochi anni l’opera dei predecessori: nel 1124 infatti la Chiesa di Orval viene ufficialmente consacrata da Henri de Winton, Vescovo di Verdun. Affiliatisi all’Ordine dei Cistercensi, allora molto forte in Europa, dal 1132 inizia la vera e propria storia di Orval all’interno dell’Ordine dei cistercensi, con l’arrivo di sette monaci dall’abbazia francese di Tris Fontaines, nella regione dello Champagne.
Completata la nuova chiesa, i monaci iniziano anche ad insediare e perfezionare quelle attività economiche necessarie alla propria sussistenza, e avendo ricevuto molti appezzamenti di terreno in dono, iniziano attività di agricoltura e silvicoltura.

   


Per i cinque secoli successivi, la vita dell’abbazia prosegue in maniera costante; nel corso degli anni si vivono periodi di prosperità ma anche periodi di affanno, come nel XIV secolo, quando un incendio quasi la distrugge, portandola sull’orlo della chiusura. Nel XV e XVI secolo Orval, posta in una zona di confine molto turbolenta, risente negativamente delle conseguenze derivanti dalla guerra fra Francia e Borgogna prima e Francia e Spagna poi. Nel 1529, segno questo della provvidenza, l’imperatore Carlo Quinto concede all’Abbazia la facoltà di istituire una fonderia nel proprio territorio, attività facilitata dalla vicinanza di fiumi, laghi (uno, da cui si traeva l’acqua per la siderurgia, si trova proprio dinanzi all’Abbazia) e foreste da cui procurarsi il legno; questa attività si rivelerà poi fondamentale nel corso degli anni successivi per la vita e la sopravvivenza dell’abbazia stessa. Il XVII secolo è il periodo di maggior splendore di Orval: due dei suoi Abati divennero famosi in tutto l’Ordine Monastico. Il primo, Bernard de Montgaillard, originario del Sud della Francia, viene eletto abate nel 1605; dopo aver dato stabilità economica all’abbazia, mette mano ad una serie di riforme della Regola, cosa che fa di lui uno dei precursori di quella che diventerà poi la riforma Trappista, portando inoltre ad un aumento delle vocazioni: nel 1619 infatti la Comunità conta 43 membri: 27 Monaci consacrati, 8 fratelli laici ed 8 novizi. Sono proprio di questo periodo le prime testimonianze certe dell’esistenza di una birreria, per la precisione la data è quella del 1628: in un documento ufficiale dell’Abate Bernardo infatti vengono descritte le quantità di birra e di vino che potevano essere consumate da ogni monaco.
Dal 1668 al 1707, Orval è sotto la guida e l’autorità di un altro grande Abate, Charles de Bentzeradt, nativo di Echternach (Lussemburgo). Prendendo a modello la riforma che l’Abate de Rancé aveva realizzato all’Abbazia de La Trappe in Normandia, Charles istituisce la Regola della "Stretta Osservanza" anche ad Orval. Il numero dei novizi aumenta ulteriormente, così come quello dei monaci: per questo riesce a fondare, nel 1701, l’Abbazia di Düsselthal, vicino a Düsseldorf, e ad da erigere come Priorato la casa di Conques, sul fiume Semois.
Nel 1723 la comunità conta ben 130 membri, arrivando ad essere “la più numerosa dell’Impero”. Dalla fine del XVII secolo alla metà del XVIII le fonderie di Orval, fondate lo ricordiamo nel 1529, sono le più importanti di tutta l’industria siderurgica europea, e la maggior parte dei proventi sono destinati alla costruzione di un nuovo monastero, su progetto del famoso architetto belga
Laurent-Benoit Dewez
La fine di Orval inizia con lo scoppio della Rivoluzione Francese del 1789; dopo la confisca di tutti i possedimenti dell’abbazia al di là del confine francese, il 23 giugno del 1793 le truppe rivoluzionarie del generale Loyson saccheggiano e bruciano il Monastero, radendo al suolo con l’artiglieria il chiostro ed i due santuari di Nostra Signora di Orval e di San Bernardo, sembra per rappresaglia in seguito all’ospitalità offerta dai Monaci a truppe austriache.
I 60 monaci della Comunità si rifugiano in Lussemburgo prima e presso il Priorato di Conques poi, sancendo in questo modo la fine di un’avventura iniziata sette secoli prima. La Comunità viene ufficialmente soppressa il 7 Novembre 1795 ; il monastero, o meglio, quello che ne resta, viene venduto un anno dopo.
Dopo quasi 150 anni di oblio, nel 1926 la famiglia de Harenne, che aveva acquistato nel 1887 le rovine di Orval e le terre circostanti, dona le proprietà succitate nuovamente all’Ordine Cistercense, e da quell’anno Orval rivede la possibilità della presenza di una comunità monastica. Nel 1927 Jean-BaptisteChautard, Abate di Sept-Fons (nella regione francese di Allier), accetta la responsabilità della rifondazione e manda ad Orval un gruppo di Monaci , il primo nucleo della nuova Comunità, ricostituita nella sua integrità grazie all’opera successiva di Marie-Albert van der Cruyssen, di Ghent, monaco dell’Abbazia de La Trappe. Il monastero viene ricostruito secondo il progetto dell’architetto Henry Vaes, e viene eretto sulle stesse fondamenta di quello del XVIII Secolo, ancora in buono stato di conservazione.
Nel 1936 Orval ridiventa Abbazia autonoma e Marie-Albert ne diventa l’Abate. Nel 1948 la ricostruzione globale è portata a termine e l’8 Settembre viene solennemente consacrata la Chiesa, la stessa che ancora oggi si fa ammirare, insieme allo splendido complesso conventuale che nel 2003 ospitava 20 monaci.

  


Storia della birreria

C’è probabilmente sempre stata una birreria presso il Monastero. Molti fatti lo confermerebbero: vecchi dipinti, una dettagliata descrizione del processo produttivo lasciata da un visitatore Francescano tre secoli fa, un’area chiamata “campo di luppolo” vicinissima al monastero.
La fabbrica di birra attuale, che assomiglia ad una cappella (è posta sulla destra del monastero quando lo si guarda dal davanti), viene costruita nel 1931 al fine di ricoprire quel ruolo che in passato era stato proprio della fonderia. La birreria infatti doveva, in quel periodo, reperire risorse economiche non tanto per il sostentamento della comunità (per quello era sufficiente la vendita dei prodotti alimentari, pane e formaggi, dei monaci) ma per far fronte alle ingenti spese legate alla ricostruzione del monastero, riprogettato dall’architetto di Anversa Henry Vaes. Lo stesso che nel 1932, fra le altre cose, ha progettato la bottiglia e il bicchiere di Orval, entrambi ancora oggi in uso.
La prima birra esce dal nuovo impianto il 7 Maggio,trasportata in barili di legno fino a destinazione ed imbottigliata dai distributori su tutto il territorio nazionale del Belgio.
Il primo mastro birraio, il bavarese Martin Pappenheimer, e il suo assitente John Van Huele di Ostenda si dividono la paternità dell’inconfondibile birra di Orval. Il primo proveniva da una zona della Germania dove si apprezzavano molto le pils amare e luppolate, il secondo è stato molto probabilmente l’inventore negli anni ’50 della tecnica produttiva detta dry-hopping, nello stesso stabilimento di Ostenda nel quale, dopo il 1950, egli stesso cominciò a produrre la Sano, birra talmente simile all’Orval da creargli problemi legali con l’Abbazia.
Attualmente non ci sono monaci tra i 32 operai della birreria di Orval, anche se sono i monaci a supervisionare direttamente la produzione. L’autosufficienza economica della comunità monastica di Orval oggi è assicurata dai soli proventi della produzione di pane, formaggio, miele e confetture,; il profitto generato dalla fabbrica di birra è direttamente distribuito dalla comunità monastica ad organizzazioni caritatevoli e sociali locali.
La produzione annuale si attesta all’incirca sui 45.000 hl. (535 barili a settimana), dieci volte la produzione di Westvleteren; Chimay e Westmalle invece producono in quantità maggiore, anche se hanno un numero maggiore di birre.

  

La birra di Orval è unica: e la sua unicità è talmente riconosciuta che in francese è stato coniato il detto "le goût d'Orval", il gusto di Orval. Ma i monaci possono assaggiarla solo 2 volte all’anno: negli altri giorni bevono la Petit Orval (od Orval Vert) di 3,5°, in pratica una Orval classica diluita con acqua per diminuirne la gradazione.
  

Abbaye Notre-Dame d'Orval
B-6823 Villers-devant-Orval
www.orval.be 
Tel. 0032 (0) 61.31.10.60

© Testi di Alberto Laschi
© Foto di Vanessa Rusci



venerdì 23 novembre 2007

I trappisti e le birre - Abbaye Notre-Dame de Saint-Remy, Rochefort




Il monastero con annessa fabbrica di produzione birraria si trova a pochi chilometri dal piccolo paese di Rochefort (che comunque tutti gli anni può contare su 600.000 turisti attratti dalla produzione birraria del monastero), nelle Ardenne, nella provincia di Namur.


Storia del monastero

Il convento viene fondato nel 1229 nella valle di Saint Remy, presso Rochefort, cittadina del Belgio sud-orientale (Vallonia), sui terreni donati da Gilles di Rochefort Walcourt ad una comunità femminile di suore. Il convento prende il nome di "Succursus Dominae Nostrae",; di questo primo nucleo non rimane a tutt’oggi nessun resto visibile. Le monache rimangono nel monastero per oltre due secoli, poi avviene uno spostamento, nel 1464, causato anche dall’affievolirsi del fervore della prima comunità monacale. Le suore vengono spostate in un altro convento; al loro posto arrivano i monaci cistercensi della comunità francese di Felipre (Givet), che vi rimangono di fatto fino al 1792.
Il periodo più complicato per il monastero è quello a cavallo fra il XV e il XVI secolo, nel quale più volte viene devastato dalle ruberie dei briganti e dalla persecuzione messa in atto dai calvinisti. Ed è proprio in memoria di questo periodo complicato che l’abate Filippo di Fabry conia il motto dell’abbazia, vessata da ciclici rovesci di fortuna: “Curvata, resurgo” (nello stemma poi vengono rappresentate anche le tre virtù teologali fondamentali: la fede , la palma, la speranza, la stella e la carità, la rosa). I monaci vi ritornano in maniera stabile dal 1664, dopo che nel 1653 gli eserciti di Condè avevano quasi raso al suolo l’abbazia; la chiesa viene ricostruita e consacrata nel 1671, la vita religiosa ricomincia.



La pace e la serenità non durano molto: la rivoluzione francese si profila all’orizzonte, ma già prima che gli effetti catastrofici si facciano sentire, è la vita religiosa all’interno della comunità che subisce un progressivo impoverimento spirituale. E’ significativa in questo senso l’ordinanza che nel 1755 l’abate Henry de Villeggia è costretto ad emanare, nella quale si vieta di “prendere il tè, caffè, cioccolata, liquori, vino, fumare, giocare a carte all’interno del monastero, pena il confino in una stanza per l’intera giornata”. La situazione non migliora, tanto che nel 1792 il papa secolarizza l’allora abate e tutta l’abbazia, escludendoli dall’ordine religioso dei cistercensi e trasformandoli in soli monaci canonici; i pochi rimasti vengono definitivamente dispersi dalle distruzioni apportate dagli eserciti rivoluzionari francesi.
Nel 1805 il Commissario Repubblicano Louis Joseph Poncelet acquista per pochissimi soldi i resti delle costruzioni conventuali, che vengono definitivamente abbattute, e i cui materiali di risulta vengono poi usati per la costruzione di nuovi edifici nel vicino paese di Rochefort. Dopo essere passata fra le mani di altri tre proprietari, nel 1887 Victor Seny riesce a riacquistare la proprietà di St. Rhemy, che dona poi alla comunità di cistercense di Achel; nel dicembre dello stesso anno, dal monastero olandese parte una piccola comunità di monaci che, guidata dall’abate Anselmus, arriva a Rochefort per rifondare l’antica abbazia. E’ del 1899 la costruzione del primo birrificio all’abbazia, adibito alla sola produzione per il consumo interno, distrutto poi dai tedeschi nel corso della prima guerra mondiale e ricostruito poi nel 1919. Le sorti del monastero progressivamente virano al bello stabile, tanto che già nel 1931 la comunità monastica conta più di 80 membri. E anche le scelte operative dei padri cambiano gradualmente l’orizzonte di riferimento: dalla prevalente attività agricola, sempre meno remunerativa, si passa gradualmente alla produzione birraria, che diventa poi la principale fonte dio sostentamento a partire dal 1952, anno del decollo produttivo.
Nel 2003 sono presenti e operano all’interno del monastero trappista circa 30 monaci.

Storia della Birreria

Documenti dimostrano che il monastero ebbe una birreria fino dal 1595, con orzo e luppolo coltivati allora nei propri campi. La birreria attuale fu costruita nel 1899, data a cui risalgono la maggior parte degli edifici che ancora formano l’Abbazia, da padre Zozime Jansen, ex produttore di birra a Oosterhout nei Paesi Bassi. Dopo aver superato senza troppi danni il periodo d’inizio secolo e le 2 guerre mondiali, la birreria (il cui mastro birraio nel frattempo è padre Paulin, in “carica2 fina dal 1910) entra nella fase moderna, che coincide con il progressivo abbandono dell’attività agricola da parte dei monaci.


Il primo intoppo arriva però quasi subito, agli inizi degli anni ‘50: Rochefort non produce in quel momento birre eccellenti, Scormount (Chimay) si, dopo aver rammodernato i propri stabilimenti. E quindi paga dazio sul mercato. La comunità decide di investire di più nella produzione: ristruttura la birreria, chiede aiuto a Scormount (abbazia comunque sorella, che le “presta” il lievito selezionato in loco da padre Théodore) e al professor De Clerck (lo stesso che aveva già dato una mano a Chimay), cambia il mastro birraio e il nuovo (padre Hubert Morsomme) viene spedito per un periodo a Chimay per uno “stage” di aggiornamento professionale. I risultati si vedono quasi subito: nel 1953 vengono prodotte la 6° e la 10° (“Merveille”), entrambe etichettate con la famosa etichetta a caratteri gotici creata da padre Paul van Mansfeld, nel 1955 la 8°. Nel 1960 i lieviti provenienti da Chimay sono giudicati non proprio adatti alla produzione delle tipologie di birre di Rochefort, e vengono sostituiti da quelli che msr. Caulier della birreria Palm rende loro disponibili: essendo materia preziosissima, oltre al lievito conservato all’interno dell’abbazia, vi è un altro ceppo di lievito conservato di scorta presso l’università di Lovanio e ricoltivato un paio di volte all’anno. Gli impianti di produzione vengono via via rivisti e ampliati, e la produzione regolare si stabilizza, ad un regime di produzione più basso della capacità effettiva degli impianti stessi (attualmente produce all’incirca 16.000 hl. l’anno). Questo perché i monaci di Rochefort non vivono per produrre, ma per pregare. E lo dimostra quanto dice padre Albert van Iterson, direttore della birreria dal 1981: “Non siamo schiavi della domanda: la birra supporta l’Abbazia ed i dipendenti che ci lavorano e ci serve solo guadagnare qualcosa in più per sostenere iniziative sociali e caritatevoli. Noi stabiliamo i limiti: per accontentare le richieste dovremmo produrre fino a venti volte a settimana. Ma non siamo un’organizzazione commerciale e non vogliamo diventarlo: siamo monaci”. Attualmente il mastro birraio della fabbrica, nella quale lavorano quattro monaci assieme a dieci operai laici, è padre Pierre; ma è interessante sapere che il precedente mastro birraio, Padre Antoine, in “carica” fino al 1997, è colui che ha contribuito notevolmente alla rinascita birraria di Achel (che è l’abbazia/madre di Rochefort). Infatti nel 2001 sostituisce nell’incarico di mastrobirraio di Achel padre Thomas di Westmalle, che, come lui, vista l’età avanzata, aveva cessato di ricoprire l’incarico di mastro birraio a Westmalle ed era stato trasferito ad Achel per il meritato riposo; ma durante la permanenza ad Achel era stato chiamato a dare il proprio preziosissimo apporto professionale al nuovo inizio della produzione birraria del monastero. Le birre di Rochefort (tutte ad alta fermentazione e rifermentate in bottiglia) sono tutte e 3 scure, e tutte e tre si identificano solo con un numero, che indica la “forza” della birra stessa secondo la scala Baumé, tipica del Belgio. Questa scala, oggi non più in vigore per sopraggiunte normative CEE, rappresenta il rapporto tra la densità della miscela iniziale malto/acqua e quella dell’acqua, che differisce dalla classica gradazione alcolica, rispetto alla quale esprime sempre rilevazioni inferiori: la 6 infatti ha una gradazione alcolica all’incirca di 7,5%, la 8 di circa 9,2% e la 10 di 11,3%. Nel 2005, per la prima volta, la 8 viene imbottigliata in bottiglie da 0,75 e venduta così in occasione delle feste natalizie.


   

Abbaye Notre-Dame de Saint-Remy
5580 Rochefort - BELGIQUE
www.trappistes-rochefort.com
Tel. 0032  (0) 84 22.01.40


©Testo Alberto Laschi
© Immagini dal sito web www.trappistbeer.net e dal sito web www.trappistes-rochefort.com




martedì 20 novembre 2007

I trappisti e le birre - Abbazia Di Notre Dame Di Scourmont - Chimay



Nel 1844, durante un viaggio che lo doveva portare ad un congresso ecclesiastico a Riezes de Chimay, l’abate Jourdain del monastero vallone di Virreles attraversa i selvaggi territori intorno a Scormount, che gli apparvero da subito perfetti per l’insediamento di un nuovo nucleo di monaci cistercensi.

      

E’ il nascere di quello che diventerà il progetto dell’abbazia di Chimay. Negli anni successivi infatti, il principe di Chimay, che era nel frattempo alla “ricerca” di un cappellano o comunque di religiosi per le sue tenute in quella zona, allaccia trattative con l’abate di Westmalle per poter definire l’insediamento di una presenza religiosa stabile nelle sue proprietà. Fu nel 1850, e precisamente il 12 luglio, che venne posta la prima pietra del futuro monastero, da 17 monaci che, provenienti da Westvleteren, iniziarono a costruire il cantiere nelle zone allora paludose e inospitali di Scormount, nel comune di Forges, a nove chilometri da Chimay nelle Ardenne, su terreni donati loro sempre dal principe di Chimay. Da allora comincia un duro lavoro per i monaci, che si ritrovano ad abitare una terra difficile, poco fertile e paludosa per la maggior parte, in una zona dove il freddo si faceva sentire addirittura fino al mese di Luglio, e dove anche d’estate la nebbia non permetteva alla temperatura di superare gli 11 – 12 gradi di temperatura mattutina. Gli sforzi dei monaci si prolungarono per più di 10 anni, fino a che nel 1863 i lavori si conclusero, dopo aver dato vita ad un grande monastero e ad una fattoria attrezzata, lavori che suscitarono da subito l’ammirazione incondizionata delle popolazioni locali. Nel 1871 l’abate venne definitivamente riconosciuto dal papa ed insediato il 14 settembre nell’abbazia che prende da allora il nome di “Nostra signora di Scormount”. Inizia così la storia di questa ormai famosissima abbazia e della comunità monastica in essa residente, che nel pieno rispetto della Regola si muove per poter essere in tutto e per tutto autosufficiente sul piano economico. Da qui la produzione della birra che subito diventa l’attività lavorativa principale. L’abbazia ha vissuto con difficoltà il periodo durante la seconda guerra mondiale, tanto che i monaci hanno dovuto abbandonare per ben 2 volte la propria “casa”, nel 1940 e nel 1942, espulsi entrambe le volte dai tedeschi. Solo nel 1944 i monaci ripresero possesso dei propri possedimenti, devastati però da ruberie e saccheggi. Senza perdersi d’animo i monaci si diedero subito da fare per ripristinare il tutto così com’era prima, e dopo una lunga serie di lavori e sacrifici, resero all’abbazia lo splendore primitivo, splendore che si fa ammirare tutt’oggi.
  


   

Storia della birreria

Contestualmente ai lavori di costruzione dell’abbazia e dei locali adibiti alla vita religiosa e comunitaria dei padri, si procedette fin dal l’inizio dei lavori all’ utilizzo dei materiali di risulta provenienti dai locali prima adibiti a fattoria per costruire il birrificio dell’abbazia. Addirittura si usò la dinamite per scavare i pozzi per l’acqua necessaria alla produzione.
E’ del 1861 il documento ufficiale con il quale l’allora abate Hyacinte Bouteca autorizza la costruzione del birrificio, completata nel 1862; nel 1863 furono finiti di acquistare tutti i macchinari necessari alla produzione, tutti a norma delle leggi allora vigenti nella provincia di Hainaut. Le prime birre furono prodotte da personale laico, lo stesso che aveva montato gli impianti di produzione, sotto la stretta vigilanza di padre Hyacinthe, prendendo a modello le birre allora prodotte in Baviera. Fu lo stesso padre Hyacinthe in seguito a modificare la filosofia di produzione, con la creazione di una serie di birre più forti, la cui ricetta è ancora oggi usata come base per l’attuale produzione. I monaci cominciano a produrre e commercializzare regolarmente le loro birre a partire dal 1864-1865, imbottigliata nelle cucine dell’abbazia e conservata nelle cantine; dal 1875, oltre che in bottiglia, la birra veniva anche conservata, e poi venduta, in barilotti ricoperti di catrame. Il tutto procede “regolarmente” fino agli anni intorno alla prima guerra mondiale: nel 1915 i locali di produzione dell’abbazia di Chimay subiscono la stessa sorte di tanti altri, sia laici che monastici, stabilimenti di produzione; danneggiati dalla guerra, gli impianti furono chiusi e, dopo i necessari lavori di ristrutturazione, riaperti nel 1919. Negli anni che la dividono dalla seconda guerra mondiale la birreria di Chimay lavora a pieno regime, senza però raggiungere una soddisfacente qualità. Anche in questo caso la tempesta della seconda guerra mondiale rappresenta una cesura fra il prima e il dopo. Dopo l’evacuazione forzata del 1942, nel 1948 la fabbrica viene riaperta, secondo nuovi criteri produttivi, che coniugano il rispetto della tradizione monastica con nuove tecniche produttive, “insegnate” ai monaci dal professor De Clerck dell’università di Lovanio (quando morì, nel 1978, venne sepolto nell’abbazia, segno tangibile del forte legame fra il tecnico laico e la comunità monastica). Sono gli anni del boom produttivo e innovativo, anche e soprattutto grazie a Padre Theodore, mastrobirraio del monastero che coltivò e isolò in quegli anni il famoso “lievito di Chimay” e che produsse dal 1954 al 1988 le proprie birre anche il quel bellissimo impianto di produzione da 175 ettolitri che ancora oggi si fa ammirare in mezzo alla rotatoria che immette nella via principale del piccolo paesino di Chimay. E’ nel 1948, a Pasqua, che nasce la birra oggi nota per la sua etichetta blu; negli anni immediatamente successivi nasce la birra dall’etichetta rossa e nel 1966 la bionda dall’etichetta bianca. Nel corso degli anni la produzione si è allargata, tanto che nel 1989 gli ambienti adibiti alla fermentazione sono stati ampliati, in modo da permettere una doppia cotta giornaliera, e fin dal 1978 l’imbottigliamento è stato trasferito in locali più efficienti nella vicina Baileux.
Tutto questo fa delle birre di Chimay le trappiste più famose, apprezzate e conosciute oggi nel mondo, anche se negli ultimi anni la produzione monastica è stata un po’ criticata per l’uso di estratto di malto e amido di mais, ingredienti non del tutto “ortodossi”.

Bières de Chimay SA
Route Charlemagne 8
6464 Baileux
 Tel. 0032 (0)60 21.03.27


© Testo Alberto Laschi © Foto Vanessa Rusci

Reportage Belgio:Ottobre 2007. ULTIMA NOTTE!

Ho fissato una camera a Chimay, presso l'Auberge de Poteaupré..l'albergo "Ufficiale" dell'Abbazia. Infatti solo qui è disponibile la Chimay Doree, birra solitamente riservata al consumo interno dei monaci. Mi fermo al bar dell'albergo prima di prendere le chiavi della camera, sono le 16 e 50 ed il bar chiude alle 17.. e , peggio ancora, da Ottobre il ristorante apre solo i weekend..Il tempo di buttare giù una Chimay Triple alla spina e una Doree alla spina.. purtroppo la Doree non viene più imbottigliata per gli ospiti dell'albergo (almeno così mi dicono..) e quindi  decido di berla adesso!

Adiacentye al bar c'è anche un piccolo shop dove acquistare tutto il "comprabile" della Chimay (dalla birra ai formaggi, dai portacenere alle bandiere).

Auberge de Poteaupré

Rue de Poteaupré, 5
6464 Bourlers
Tel: +32 (0) 60 21 14 33
Fax: +32 (0) 60 21 44 04


A Chimay scelgo il ristorante Casino, appena fuori dal centro cittadino. Classico ristorante belga, 
una cinquantina di birre in bottiglia e cucina tradizionale. Io scelgo un piatto di prosciutto crudo
locale accompagnato da una Binchoise Blond (che non ci stava per niente bene, ma non l'avevo 
mai assaggiata)  e il Coniglio alla Trappista con una Chimay Premiere.   

Casino
Place des Ormeaux, 27
Tel. 0032 (0) 60 214980

Torno in albergo, domani inizia il viaggio di rientro.

Reportage Ottobre 2007: Web Album 6° giorno 09/10/2007


Brasserie de Blaugies
 

        
Brasserie Brootcorens

Reportage Belgio:Ottobre 2007. 6° giorno 09/10/2007 (b)

Riprendo il furgone e ritorno un pò indietro verso Blaugies. Oggi (martedi) il ristorante del figlio di MarieNoelle (Le Fourquet) è chiuso così, guida di Tim Webb in mano, scelgo di fare tappa al Saline, un tipico ristorante un può fuori il villaggio di Blaugies. A pranzo vengono serviti solo piatti freddi ma alla carta hanno una sessantina di birre tra cui le Abbaye de Rocs e le Blaugies, appunto!

Saline Restaurant

Rue Ropaix, 39
7370 Blaugies
Tel. 0039 (0)65 631220

Velocemente pranzo e raggiungo MarieNoelle nella sua casa/birreria/ristorante! La famiglia Carlier è una stupenda famiglia vallona.

  

MarieNoella è la Mastrobirraia ma stà lasciando il posto al figlio, Kevin. Il ristorante è seguito dal secondo figlio (Cédric) ma "i fine settimana siamo siamo tutti a lavoro al ristorante, cosa devi fare..i figli. L'anno prossimo mio marito avrà un prepensionamento così che ci godremo un pò di più la nostra vecchiaia. Abbiamo una casa sul lago di Como dove andiamo sempre in settembre e ti assicuro che l'anno prossimo saremo al vostro Villaggio della Birra". Marie-Noelle Pourtois a suo marito Pierre-Alex Carlier hanno ripreso le tradizioni di famiglia ritornando a brassare nel 1987 a Blaugies il loro piccolo villaggio nell’est dell’Hainaut, a poche miglia dal confine francese. L’impianto di produzione è stato messo nel garage di casa e le ricette sono state tutte rivisitate dalle antiche ricette della nonna di Marie, ava del ben più famoso brigante Moneuse, vissuto a inizio secolo, in questa zona.

  

Il lievito usato è quello della Dupont ma le birre sono meno luppolate, più secche e più “saporite”..si può sentire il “grezzo”, l’artigianalità del prodotto. Artigianalità e armonia che si respira dalla campagna che avvolge la piccola fabbrica.. Come tutte le Saison le birre hanno quella frizzantezza in più che gli dona freschezza.

  

 

"Abbiamo investito lo scorso anno in un impianto di imbottigliamento, prima facevamo tutto a mano ma che fatica..imbottigliare, etichettare, lavare le bottiglie..".

Carico nel furgone, ormai quasi pieno, le Moneuse Noel..già pronte per l'inverno e riparto verso Chimay.

15. Brasserie de Blaugies
       Rue de la frontière, 435
       7370 DOUR (Blaugies)

       Restaurant "Fourquet"
       Rue de la fontière, 435
       7370 Dour (Blaugies)
       Tel. 0032 (0)65 690079

 

Il ristorante è un posto piacevolissimo dove si respira un'area familiare.. Cédric è un ottimo cuoco ed oltre a proporre deliziosi piatti tradizionali della zona propone anche una cucina alla birra. Avevo avuto occasione di assaggiare il suo Patè di fegato, fichi e Darbyste e ancora lo sogno! Segnalo anche lo splendido barbecue nel centro della sala principale. Insomma se capitate in zona andateci..io lo metto tra i migliori ristoranti che ho visitato! C'è anche la possibilità di alloggiare.

 

© Foto Vanessa Rusci